PROEMIO
Lasciami scrivere, sono stanco
di assenze. Mi hanno educato
a luoghi altri e strani
la mia luce è la miseria
del prisma tra colore e colore
si apre
il baratro della perdita.
Occorreva così poco
invece per cantare
è bastato abbandonare
i calcoli raccogliere le ore
rendere ogni molecola
unica e salva.
Inizia così il mattino
grande della scrittura
la croce i passi e passi
l’abbandono. Metto
un piede sull’asfalto
la pagina si leva
e in questa metà quando
neanche la fine scarlatta
senza sottintesi, la fine
che tuona nelle arterie
può fermarmi quando
il pensare è incompiuto
la prendo la porto fuori
come Braque coi suoi quadri
a vedere se regge.
Fuori dove urlano ai lampioni
dopo il furto della luna
Ti torturano sotto i nostri
occhi, macchine vastissime
asportano l’encefalo
e restituiscono un teschio.
Fuori, a dire la fatica
inascoltata dei maestri…
(…)
II
Dentro le valli cade ogni ramo
cadono con grandi tonfi
e cedono gli alberi
la stanca informa le cose.
Nell’inseguimento che il vento
porta loro dal folto
i camosci fanno una finta
e guizzano dall’altra parte
le anatre lanciano meno
occhiate, sono fusoliere
che abbandonano la terra.
L’autunno non è una stagione
ma uno schiacciasassi
colonna sonora del buio
striscia nel rosso e nell’ocra
sui tronchi invade le creature
-ognuna reca l’autunno
puoi chiamarla col nome
che la sposerà per sempre-
rintrona nelle arterie
mi vuole, il cuore crolla
la vista si ferma sbarrata.
C’è un mostro che si sveglia
nel nòcciolo della notte
lancia un ruggito spaventoso
le zampe puntano di colpo
il terreno creando la fuga
il nero del cielo incombe
sorveglia coi suoi occhi
gialli la mia miseria
sto arrancando sul ventre
del mondo, i singhiozzi
sono lontani, si spengono…
Davvero morire è entrare
nel bozzolo? e lei è qui?
e mi guarda come una mamma?
Nascere fu l’oceano e fu
il terremoto ma sconfitta
la fatica mi sono seduto
tra gli angeli, dilatato
in qualcosa che sta durando.
In punta di piedi il primo
ballerino le si avvicina
la solleva per i fianchi
e sembra inconsistente come
i progetti degli studenti
mentre il tragitto della mano
che si appoggia lentamente
alla mano è l’ultimo tratto
di una foglia che cade.
Poi lei si allontana, si ferma
(le gambecanne diritte e flessibili)
aspetta di essere raggiunta
salta e viene sollevata
di nuovo e nel suo volo
accoglie il mio corpo
divento la danza che mima
l’infinito – e l’infinito
che si posa in quella danza
e lì si mostra bello.